PACI E AMICI
Pippo di Noto
Libroitaliano Word Edizioni
2008
Silloge inedita vincitrice del Premio Martoglio – Grotte, 2007
Silloge edita vincitrice del Premio Ignazio Buttitta – Favara, 2008
Menzione speciale di merito al Premio “Ciccio Carrà Tringali” – Lentini, 2009

C’è spazio, in questa piccola silloge di appena ventisette poesie, per un universo intero di sentimenti.
La poesia di Pippo Di Noto ha il respiro delle nostre radici e al contempo della modernità. Parla di piccole e di grandi cose, dei valori, degli affetti, non disdegnando i problemi dell’oggi.
È una poesia che tenta di arginare il disordine del mondo, per renderlo leggibile, per restituirgli senso.
In Paci-e-amici, le parole hanno un potere straordinario, sono
“ponti ca ncucciunu isuli
e terri ccô cielu
e stiddi e cumeti”
Riordinare il mondo, dicevamo, in un gioco sapiente:
“Iu cci jucaiu
i mmunziddaiu
i miegghju scartaiu
e cci riesi viersu.”
E, come si afferma nella bellissima Majaria, il potere della poesia è quasi arcano, è più efficace della magia, è incantamento che cambia l’esistenza:
“Eni a puisia
ca runa e leva
a vita
e fa campari
macari
duopp’a morti”
E se a colui che se ne fa tramite regala l’immortalità, anche chi la legge muta il corso del proprio destino, perché il poeta è un mago:
“U fattucchieri
ntrizza
li palori
e a cu li leggi
cci canciunu
a sorti”
Chi potrebbe smentire questo assunto? La poesia ha davvero una forza straordinaria, soccorre e cura, lenisce e consola, ma può pure infiammare e accendere tempeste.
Così il poeta (in Comu m-pianista u poeta) è anche tramite dell’indicibile, uno strano pianista che, immerso nelle note, spesso ne è talmente preso da non tradurle in suoni:
“Se sulu putissimu sèntiri
ssi viersi aruci
ca fuorru pinzati e mai scritti”
In Appriessu, tornano protagoniste le parole, da ricomporre ad arte anche per dare voce all’amore inespresso:
“truari palori
r’arrizzittari
ppi-ddari aria e vuci
a ss’amuri furiusu”
E ancora strade di parole in Ti piacissi, da percorrere per una fuga d’amore, desiderio fuori dal tempo di cui nessuno abbia sentore:
“Appriessu ti vulissi
(e ti piacissi)
ppi strati di palori disgrazziusi
di chiddi ca nu mmanu a nudda banna”
perché le parole rappresentano la libertà dal perbenismo, dall’ipocrisia, rompono ogni vincolo.
L’amore trova voce in Sunettu d’amuri, di ispirazione nerudiana:
“t’amu senza sapiri
comu e-quannu
accussì ssulu iu
ti sacciu amari”
Altro tema ricorrente è quello dell’infanzia, della nostalgia per ciò che non c’è più, per luoghi, volti, sensazioni che
“u vientu ntrubbulu”
ha spazzato via per sempre (Suonnu).
In A li voti torna il ricordo del tempo in cui tutto era possibile, in cui la vita era gioco; si va col pensiero a
“quannu la vita
nun facìa scantari”
ed è un ricordo che ora fa ridere e piangere insieme, ma si può attingere forza dal passato per affrontare il presente:
“e -pigghiu curagghiu
e-ttuornu a-ttaliari lu suli”.
Gli oggetti stessi
“naca
pupa di pezza
cavadduzzu”
si fanno icone del tempo perduto in Suffitta, e contrassegnano i confini di una preziosa “isola di pace” in cui ritrovare se stessi.
Non mancano, come si accennava in apertura, i temi di attualità: in Mutamientu, dove la politica sconvolge il quotidiano; in Amiantu, assassino che in nome del progresso uccide silenziosamente; in Autru ca frati, poesia toccante sulla tragedia dei migranti, anime disperate che, spinte dal bisogno, spesso non trovano il futuro vagheggiato; in Avota Ggela, infine, in cui si innalza il grido di una terra abitata anche da gente onesta.
Il misticismo, il desiderio di ritrovare un cuore e occhi puri, si esprime in Tabor e Assisi. Da quest’ultima, i versi più belli, dedicati alla figlia:
“Vulissi virri u munnu
cchè so uocci
ccu ss’uocci ca nun scruòpinu filini”
E proprio gli affetti familiari risultano essere il nucleo della raccolta: l’amore per il padre (Canciu, Vaju fora), l’amore per la piccola Silvia, che ha l’urgenza di “lassari a nzinca”, per dimostrare quanto è smisurato (A Silvia).
Originale l’idea del padre-bagnino (ô mari), che vuole preservare i figli dalle brutture del mondo, che si adopera per trarli in salvo dalle insidie della vita:
“…li cunnuciu
unna si tocca”
Ma vorrei chiudere con quella che ritengo la cifra della compatta e matura silloge di Di Noto, la riflessione sulla parola, sul suo potere di ferire e costruire, di diventare rifugio e calore, di sfidare l’eternità con discrezione:
“Palori…
ca vincin’u tiempu:
sori sori”