
Ulisse e Calipso, Arnold Böcklin, 1883
L’ISOLA
Tutti sanno che Odisseo naufrago, sulla via del ritorno, restò nove anni sull’isola Ogigia, dove non c’era che Calipso, antica dea.
CALIPSO Odisseo, non c’è nulla di molto diverso. Anche tu come me vuoi fermarti su un’isola.
Hai veduto e patito ogni cosa. Io forse un giorno ti dirò quel che ho patito. Tutti e due siamo stanchi di un grosso destino. Perché continuare ? Che t’importa che l’isola non sia quella che cercavi ? Qui mai nulla succede. C’è un po’ di terra e un orizzonte. Qui puoi vivere sempre.
ODISSEO Una vita immortale.
CALIPSO Immortale è chi accetta l’istante. Chi non conosce più un domani. Ma se ti piace la parola, dilla. Tu sei davvero a questo punto?
ODISSEO Io credevo immortale chi non teme la morte.
CALIPSO Chi non spera di vivere. Certo, quasi lo sei. Hai patito molto anche tu. Ma perché questa smania di tornartene a casa? Sei ancora inquieto? Perché i discorsi che vai facendo tra gli scogli?
Odisseo. Se domani io partissi tu saresti felice?
Calipso. Vuoi saper troppo, caro. Diciamo che sono immortale. Ma se tu non rinunci ai tuoi ricordi e ai sogni, se non deponi la smania e non accetti l’orizzonte, non uscirai da quel destino che conosci.
ODISSEO Si tratta sempre di accettare un orizzonte.
E ottenere che cosa ?
CALIPSO Ma posare la testa e tacere, Odisseo. Ti sei mai chiesto dove vanno i vecchi dei che il mondo ignora? Perché sprofondano nel tempo, come le pietre nella terra, loro che pure sono eterni. E chi son io, chi è Calipso?
ODISSEO Ti ho chiesto se sei felice.
CALIPSO Non è questo, Odisseo. L’aria, anche l’aria di quest’isola deserta, che adesso vibra solamente dei rimbombi del mare e di stridi di uccelli, è troppo vuota. In questo vuoto non c’è nulla da rimpiangere, bada. Ma non senti anche tu certi giorni un silenzio, un arresto, che è come la traccia di un’antica tensione e presenza scomparse ?
ODISSEO Dunque anche tu parli agli scogli ?
CALIPSO E’ un silenzio, ti dico. Una cosa remota e quasi morta. Quello che è stato e non sarà mai più. Nel vecchio mondo degli dei quando un mio gesto era destino. Ebbi nomi paurosi, Odisseo. La terra e il mare ma obbedivano. Poi mi stancai; passò del tempo, non mi volli piú muovere. Qualcuna di noi resistè ai nuovi dei; lasciai che i nomi sprofondassero nel tempo; tutto mutò e rimase uguale; non valeva la pena di contendere ai nuovi il destino. Ormai sapevo il mio orizzonte e perché i vecchi non avevano conteso con noialtri.
Odisseo. Ma non eri immortale?
CALIPSO E lo sono, Odisseo. Di morire non spero. E non spero di vivere. Accetto l’istante. Voi mortali vi attende qualcosa di simile, la vecchiezza e il rimpianto. Perché non vuoi posare il capo con me, su quest’isola?
ODISSEO Lo farei, se credessi che sei rassegnata. Ma anche tu che sei stata signora di tutte le cose, hai bisogno di me, di un mortale, per aiutarti a sopportare.
CALIPSO E’ un reciproco bene, Odisseo. Non c’è vero silenzio se non condiviso.
ODISSEO Non ti basta che sono con te quest’oggi ?
CALIPSO Non sei con me, Odisseo.
Tu non accetti l’orizzonte di quest’isola.
E non sfuggi al rimpianto.
CALIPSO Quel che rimpiango è la parte viva di me stesso come di te il tuo silenzio. Che cosa è mutato per te da quel giorno che terra e mare ti obbedivano ? Hai sentito ch’eri sola e che eri stanca e scordato i tuoi nomi. Nulla ti è stato tolto. Quello che sei l’hai voluto.
CALIPSO Quello che sono è quasi nulla, caro. Quasi mortale, quasi un’ombra come te. E’ un lungo sonno cominciato chissà quando e tu sei giunto in questo sonno come un sogno. Temo l’alba, il risveglio; se tu vai via, è il risveglio.
ODISSEO Sei tu, la signora, che parli ?
CALIPSO Temo il risveglio, come tu temi la morte. Ecco, prima ero morta, ora lo so. Non restava di me su quest’isola che la voce del mare e del vento. Oh non era un patire. Dormivo. Ma da quando sei giunto hai portato un’altr’isola in te.
ODISSEO Da troppo tempo la cerco. Tu non sai quel che sia avvistare una terra e socchiudere gli occhi ogni volta per illudersi. Io non posso accettare e tacere.
CALIPSO Eppure, Odisseo, voi uomini dite che ritrovare quel che si è perduto è sempre un male. Il passato non torna. Nulla regge all’andare del tempo. Tu che hai visto l’Oceano, i mostri e l’Eliso, potrai ancora riconoscere le case, le tue case ?
ODISSEO Tu stessa hai detto che porto l’isola in me.
CALIPSO Oh mutata, perduta, un silenzio. L’eco di un mare tra scogli e un po’ di fumo. Con te nessuno potrà condividerla. Le case saranno come il viso di un vecchio. Le tue parole avranno un senso altro dal loro. Sarai più solo che nel mare.
ODISSEO Saprò almeno che devo fermarmi.
CALIPSO Non vale la pena, Odisseo. Chi non si ferma adesso, non si ferma mai più. Quello che fai, lo farai sempre. Devi rompere una volta il destino, devi uscire di strada, e lasciarti affondare nel tempo…
ODISSEO Non sono immortale.
CALIPSO Lo sarai se mi ascolti. Che cos’è la vita eterna se non questo accettare l’istante che va ? L’ebbrezza, il piacere, la morte non hanno altro scopo. Cos’è stato finora il tuo errare inquieto ?
ODISSEO Se lo sapessi avrei già smesso. Ma tu dimentichi qualcosa.
CALIPSO Dimmi.
ODISSEO Quello che cerco l’ho nel cuore, come te.
CESARE PAVESE
Il brano è tratto da Dialoghi con Leucò, pubblicato nel 1947.
A proposito della genesi di questo libro, lo stesso Pavese scrive:
“Cesare Pavese, che molti si ostinano a considerare un testardo narratore realista, specializzato in campagne e periferie americano-piemontesi, ci scopre in questi Dialoghi un nuovo aspetto del suo temperamento. Non c’è scrittore autentico, il quale non abbia i suoi quarti di luna, il suo capriccio, la musa nascosta, che a un tratto lo inducono a farsi eremita. Pavese si è ricordato di quand’era a scuola e di quel che leggeva: si è ricordato dei libri che legge ogni giorno, degli unici libri che legge. Ha smesso per un momento di credere che il suo totem e tabù, i suoi selvaggi, gli spiriti della vegetazione, l’assassinio rituale, la sfera mitica e il culto dei morti, fossero inutili bizzarrie e ha voluto cercare in essi il segreto di qualcosa che tutti ricordano, tutti ammirano un po’ straccamente e ci sbadigliano un sorriso. E ne sono nati questi Dialoghi.”
Mi piace accostare a questo dialogo versi moderni, ma con un respiro antico.
Calipso e Odisseo
Guardami Odisseo, guardami davvero
Davanti a te sedutonudo, inginocchiata
lievi i capelli sopra le tue cosce
mi sentivo mormorare io ti adoro
– Ti adoro – Io! L’ ho detto!
(Ermes sorvegliava il miracolo
nel sogno)
Ora ti scorgo dove non ci sei
appari muto prima di arrivare
assumi la posa dei vicini
cambi con le tue, le forme degli astanti
Incontro la tua ombra nei crocicchi
e la tua voce, la tua voce
scava solchi vibranti dentro il petto
Siamo antichi Calipso e stanchi
giorni schiantati addosso, macigni
vedi le crepe nel mio corpo, viaggi
sempre in cerca di qualcosa e errori
rotte impazzite, tempeste, morti
e polvere di noia
non ci saranno primavere
e fiori caldi sulla sabbia
tu offri pietre fredde, risplendenti al buio
Arretro, guardandoti negli occhi
tu parli ancora, tu sussurri sogni
rovesci schegge di passione
frantumata
Sbando
mi volto piano incontro al mare
vertiginosa vastità, vascelli persi
non ho la tua energia
la tua nicchia di pietre luccicanti
pochi giorni, ninfa, mi restano
Penelope è più giusta, meno folle
allungherà la mano per raccogliermi
Ti scioglierai dalle mie fibre, allora
le spalle nude contro il vento
mortale alla ricerca del tuo porto
Volerò leggera sulla rotta, libellula
nell’aria salmastra del mattino
consolerò la solitudine notturna
chiederò a Poseidone di arrendersi, a sua volta
sarò la brezza che ti spinge
e tu verdevestito raggiungerai Penelope, che tesse
Rannicchiato nel suo abbraccio, narrerai
( e narrerai sempre più lento )
di un uomo che cercava di tornare
al semplice trascorrer della vita.
FRANCA CANAPINI