Se, anziché leggere un buon libro, a Natale vai al cinema, non puoi aspettarti grandi cose, né puoi lamentarti, uscendo dalla sala, peraltro gremita.
Ma andiamo per ordine.
Woody Allen è un grande narratore, e non tutti sanno raccontare le storie, storie di vita ordinaria o surreale, senza effetti speciali o voglia di stupire. Storie.
Un unico appunto: il topos dello scrittore che “ruba” forse è un po’ troppo frequentato… ma Woody si fa perdonare persino questo!
Potresti anche decidere di andare al cinema, a Natale, solo per fare quattro risate, senza contorsionismi cerebrali, indagini esistenzialiste e simili… legittimo, perché no?
Ma sbaglieresti anche lì: niente risate, neanche grasse e volgari, semplicemente sorrisi, a volte stentati.
E se proprio devi scegliere, visto che il Sudafrica di De Sica NON riesce proprio a far ridere, opta per l’improbabile banda degli onesti: almeno il trio fa sorridere, dietro c’è una storia (esile? ma almeno non volgare) e non esci dal cinema convinto che con con gli stessi soldi avresti potuto acquistare un dignitoso tascabile.
Carina l’idea del “cambio di costume” del bigamo al confine.
Amo il cinema, ma a questo punto… sì, meglio leggere in pantofole sulla poltrona preferita.
“Jennuvinennu, quando la parola si fa poesia e la poesia canto”
Incontro col poeta Alfio Patti
Introduce Giusy Liuzzo, presidente Archeoclub Catania
Relatori:
Dott. Santo Privitera, giornalista, scrittore
Gabriella Rossitto
L’incontro si concluderà con una performance culturale-musicale: “La religiosità nella poesia e nelle canzoni siciliane, interpretata e rivista da Alfio Patti”
Auditorium della scuola “Pizzigoni”
Catania
15 dicembre 2010
ore 17
“Jennuvinennu: quando la parola si fa scudo e spada”
di ALFIO PATTI
martedì 7 dicembre 2010, ore 16,30 – Castello di Leucatia, Catania
Relatori:
Angelo Scandurra, poeta, scrittore
Clelia Tomaselli, scrittore, giornalista
Performance di cunti e canti sulla “Giustizia e sonnu” di Alfio Patti
La manifestazione rientra nell’ambito degli incontri promossi dalla Biblioteca Centro Culturale “Rosario Livatino”, in collaborazione con l’Associazione Culturale “Accademia del tempo”.
Ha introdotto la scrittrice Clelia Tomaselli.
Riassumo qui, con le limitazioni del caso, l’intervento di Angelo Scandurra.
“La poesia è simbiosi parola / musica, e ogni parola in poesia deve tradursi in musica.
Potremmo domandarci quale sia il motivo del recupero del dialetto in era tecnologica.
La parola desueta, dissanguata, non basta più, ha perso la forza semantica: per questo ci si rifugia nel linguaggio cifrato, nel dialetto.
Patti gioca con l’intelligenza, avverte, induce alla riflessione. Jennuvinennu, prima o poi, ci dice, qualcosa accadrà, qualcosa dovrà necessariamente cambiare. Sono parole che traducono emozioni, ma soprattutto speranza.
Il libro è scorrevole, forte; poggia su una struttura che, raccontando in modo gioioso e ironico, non afferma in modo assoluto e non prevarica il lettore, il suo giudizio, offrendogli piuttosto spunti e possibilità di riflessione.
Il tutto tramite l’ironia accattivante, cui si aggiunge l’autoironia: l’autore, portatore di intelligenza, diventa portavoce di riflessione per tutti gli altri.
Patti è solare, non ingenuo, è aperto e restio ai sotterfugi –mia nonna mi diceva che bisogna diffidare delle persone complesse, seriose, pervase da negatività.
A proposito della lingua, è da notare l’incisività di alcuni termini, uno fra tutti malasurtàti.
Ciò a cui deve tendere l’arte che non sia fine a se stessa è farsi frangivento rispetto ai luoghi comuni, alla stupidità banalità inutilità –specie della televisione, dove la parola è stata uccisa, perdendo intensità e vigore.”
Ma è lo stesso Alfio Patti, subito dopo, a fornirci alcune risposte.
“Perché scrivo in dialetto? È una scelta che risale al 1985, anno in cui ho pubblicato Canti di petra lava. Proprio l’amico Scandurra mi avvertì in quell’occasione (cu’ t’u fa fari?, chi te lo fa fare?) della limitatezza del dialetto, che rischia di restare circoscritto e perciò poco conosciuto.
Ma i ferri fanu u mastru, si dice, e io ho trovato nel dialetto siciliano uno strumento per fare, controcorrente forse, ma in grado di dare forza alla parola, di restituirle potenza che è speranza. E questo è rivolto soprattutto ai giovani, che hanno sempre meno valori e spiragli.
Ridere sopra il dramma, dunque, ma colpire, ove necessario.
Sapreste tradurre, ad esempio, in modo efficace stanza scurusa? Stanza buia, in ombra? No, la valenza semantica è molto più ampia e copre un spettro emozionale, perché si può dire che fa scurari u cori, e si va oltre la mera traduzione in questo caso.
Come dicevo poco fa alla collega giornalista Mazzaglia, io sono uno studioso appassionato della lingua siciliana, anzi direi allammiccatu (da alambicco). E bisogna credere in quello che si fa per convincere gli altri. Il mio è un amore profondo, ragionato. Baudelaire dice che la poesia si fa col cervello, non soltanto col cuore. Allo stesso modo non c’è casualità nella mia scelta, ma studio e soprattutto passione.”
L’autore ha poi letto due poesie tratte dalla silloge, A pparrari semu tutti bravi e Jennuvinennu.
A seguire, ha intrattenuto il pubblico con alcuni brani tratti dal suo spettacolo “La giustizia e il sonno”.
CAVALLERIA RUSTICANA
di Giovanni Verga
regia Gianpiero Borgia
con David Coco, Caterina Misasi,
Giovanni Guardiano, Claudia Potenza,
Barbara Gallo, Nellina Laganà, Leonardo Marino, Fabio Costanzo
architetture di scena Alvisi-Kirimoto
costumi Giuseppe Andolfo
panorama sonoro Papaceccio MMC & Cespo Santalucia
movimenti di scena Donatella Capraro
luci Franco Buzzanca
produzione Teatro Stabile di Catania
Le trasposizioni forzate, le attualizzazioni spesso mi deludono, e in effetti tradimento qui credo ci sia stato. Sì ai costumi rossi per tutti, sì ai pannelli che riproducono le foto di luoghi esistenti, bravi gli attori, specie David Coco, un Turiddu scanzonato e ribelle. Ma perché il quartiere di Librino? Equivarrebbe a sostenere che solo in un luogo come questo può ancora avverarsi una storia dalle tinte forti, di rabbia, gelosia e vendetta.
No, credo sia meglio non tentare operazioni del genere. Verga non approverebbe.
Il regista Gianpiero Borgia pare abbia affermato che “Cavalleria rusticana” è un’opera di culto, e cosa pericolosa è il culto. I classici hanno bisogno dei vandali per vivere. Quando un’opera viene posta nella naftalina del culto, che prevede intrinsecamente la contemplazione acritica, in quei casi non c’è nulla meglio di un bell’atto vandalico per rianimarla, darle nuova luce, rimetterla nel mondo interiore delle persone, non in una teca.
http://www.teatrostabilecatania.it/it/cartellone/1/1/68
http://www.mascagni.org/works/cavalleria/verga
http://www.lapisnet.it/index.php?k=cavalleria-rusticana-7&s=evento