Venerdì 20 maggio, alle ore 19, presso l’Aula consiliare del Comune di Palagonia, ha avuto luogo la presentazione della nuova silloge poetica di Pippo Ximenes dal titolo “Labbra di mille tenere parole”.
L’evento è stato organizzato dall’Associazione culturale Accademia dei Palici, il cui Presidente, Salvo Grasso, ha moderato la serata.
Dopo i saluti istituzionali del vicesindaco dott.ssa Daniela Cunsolo, Mariella Sudano ha recensito la raccolta poetica dell’autore. Giusi Colomba ha letto alcune poesie tratte dal libro. Tra i presenti il pittore Nunzio Pino e il poeta Enzo Salsetta.
La silloge Labbra di mille tenere parole ha il fascino di essere incontrata a qualsiasi altezza: non c’è ordine estrinseco come potrebbe farci credere la sequenza che nasce dall’impaginazione. Tale peculiarità pone il lettore né in anticipo né in ritardo rispetto ai contenuti cantati e il filo conduttore dell’intera raccolta ce lo suggerisce già il titolo: è di scena la parola in tutta la sua valenza evocativa.
La silloge si declina attraverso parole amare o troppo tenere, che svaniscono nell’incanto di labbra socchiuse. Parole ammutolite. Parole capaci di accarezzare il silenzio o cucite e velate in controluce. Parole che abbandonano, parole vaghe e parole taciute, parole donate dagli occhi. E ancor di più: emerge la Parola che irrompe in tutta la sua potenza generatrice, così come conclude la lirica Sia seme la parola:“Sia seme la parola al nulla e al tutto, e tu radice, pianta, fiore, frutto”.
Sulle ali degli angeli
L’ho sognato stanotte, le parole
mi abbandonavano volando via.
Quelle che mi donarono i tuoi occhi
le vedevo librarsi oltr’anche il cielo.
Non saprei dirti mai con quale grazia.
Sulle ali degli angeli.
La silloge si caratterizza attraverso due figure particolari: il vento, come elemento che ne determina il movimento, quasi a segnarne il ritmo e, la luna, come elemento di pausa, respiro ed estasi.
Interessantissima la lirica “Senza meta”, dove appare chiara l’esigenza della presenza necessaria di un elemento che rimanga fermo a bilanciare il movimento che si dipana nel verso opposto, quasi a garantire la sicurezza del ritorno verso un approdo sicuro. Potremmo immaginare la luna alla stregua di Penelope, di una Penelope che resta accanto pur nella sua lontananza fisica: immobile, immutabile in contrapposizione al viaggio senza meta, un viaggio che si snoda fra terre ignote e perdute.
Senza meta
Ti porto ancora in petto, mi è rimasta
solo la luna accanto in questa vasta
pianura che attraverso dopo avere
varcato lunghe vie di pietre nere
e deserti e ogni anfratto del creato.
Senza meta non so quanto ho vagato
per terre ignote e per mari lontani.
Ho imparato a sorridere ai gabbiani.
E nel viaggio che il poeta compie ad intra, paragona la vita alla sorte delle foglie caduche e bacate: a volte danzano, a volte restano immote. Interessante l’ossimoro: un gemere inerte di foglie, pienamente inserito ed esprimente il pensiero in forma paradigmatica, dove c’è un elemento che supera l’altro per intensità vitale e valore. Infatti, la poesia di Giuseppe Ximenes è attraversata da azioni che si mostrano nella loro alternanza: ce lo spiega la forte presenza di termini come languire, lambire, gemere e dall’altra il dirompente palpitare. Ci troviamo di fronte alla sintesi di un’intensa dialettica semantica. A questo proposito cito:
Danzi stanotte per la madre luna
Danzi stanotte per la madre luna.
L’ombra del fuoco che la luce bruna
del tuo corpo lambisce a tratti balza
dove lo sguardo avido più incalza.
All’ondeggiar dei veli trasparenze
vaghe, sapienti, languide movenze
cadenzate dal palpito del vento
che sento farsi spasimo, tormento
a spiegare le ali e andar lontano.
Inseguendo la scia della mia mano.
La silloge si muove fortemente al presente: una poesia che pur al presente, non tralascia di volgere lo sguardo con disincanto e nostalgia al passato che viene recuperato e mistificato nel ricordo.
Ricca di questi elementi è la lirica Passa la vita
Passa la vita, pochi ricordi
spogli, inservibili restano ai bordi
del tratto, l’ultimo che percorre
inerte, fuori dal tempo. Scorre
oltre i tuoi passi lievi danzanti,
sull’età verde. Selva d’incanti,
vaga di sogni nitida brilla
dentro i tuoi occhi d’ogni sua stilla.
E hai sulle labbra l’invito a berla
ancora in boccio, di rosa e perla.
Un passato ricco di “presenze” che oggi sono solo struggente lontananza o assenza quasi ingombrante: Su fantasmi d’amore e obliati adii a vegliare è rimasta la tua assenza.
Non solo, il poeta ci mostra anche un passato ricco di fiabe che oggi non ci sono più per sé:
Fiabe
Scarno inventario il mio, di righe e rughe.
Soli averi rimasti. Ogni mio altro bene
mi ha sottratto la vita e già s’appresta
a richiudere il cerchio. Vien la sera
e reca nel suo grembo dolci fiabe
per te, figlie dei miei sogni perduti
e di speranze ormai spose del vento.
Diversamente, quando la poesia si esprime al futuro, mostra la profonda dialettica fra la vita e la morte che attraversa il pensiero del poeta e usa termini come svanirò e morirò. Intensa la metafora che ci offre a questo punto: morirò per le lacrime dei gigli al tramonto. Ma, al contempo, si esprime con termini che svelano grande attaccamento alle dolcezze della vita: udrò il silenzio e sussurrerò il tuo nome a larve d’angeli.
Mille dolcezze
Mille dolcezze
dalle tue pupille
ruberò per stanotte,
le reclama
il mio avido cuore
ad una ad una
al vaglio
del suo palpito:
sarà
come sfogliare
petali di stelle.
La poesia di Giuseppe, come abbiamo potuto osservare, è una poesia che si muove sulle battute della dialettica: dove il gusto o l’esigenza di mettere in contrapposizione e in contraddizione apparente gli elementi fra loro, diventa la cifra personale del suo esprimersi.
Se da una parte è possibile estrapolare versi di grande passionalità e carnalità come: Ti fai tormento, croce, e fame e sete come si legge “Nell’attimo di volo” e a graffi e a morsi in “Fatalità”, dall’altra emergono versi che si stagliano in tutta la loro valenza estetica, tipica dell’art for art’s sake, quando si fa arte solo per il gusto di fare arte.
E in relazione a quanto detto, mi piace citare un verso che da solo vale l’intera silloge, di una bellezza e delicatezza straordinaria: Al fiorire di stille.
E come in ogni dialettica c’è il momento della sintesi: qui nascono versi che incarnano magnificamente elementi dalla forte passionalità ed erotismo insieme al valore estetico, quasi dandy, del verso: All’urlare del vento, anche stanotte il tuo seno è rifugio di gabbiani/ E nei tuoi occhi gemono i violini/ Sarà come sfogliare petali di stelle.
Per concludere, mi piace citare Heidegger, perché in un momento storico di parossismo sociale e di profonda crisi spirituale, così estrema perché rifiuta persino di riconoscersi, rimane una sola oasi: il linguaggio della poesia, per il quale le cose perdono il loro carattere pratico e strumentale e diventano segni divini, indici dell’Essere che le ricomprende. Il linguaggio non è opera dell’uomo, ma dell’Essere, e il poeta non fa che ascoltarlo.
E Labbra di mille tenere parole è il canto del poeta che s’è abbandonato alle cose placidamente, unico modo per avvertirne il mistero racchiuso.
Mariella Sudano