LA POESIA DELL’ASSENZA
Se volessi cercare una definizione -con le gabbie che sappiamo possono edificare le definizioni- per la poesia di Pippo Ximenes, oserei parlare di “poesia dell’assenza”, delle cose irraggiungibili o perdute, dei ricordi più intensi sul far della sera. Poesie dove tutto è assenza, come dichiara il poeta stesso (Un cono d’ombra, da Il respiro del silenzio, p. 66).
La Poesia di Pippo è caratterizzata essenzialmente dalla musicalità, per me alla base di ogni percorso di ricerca. La musica di cui parlo è in prevalenza quella dell’endecasillabo, a volte del settenario e del novenario, è quindi la più fluida e classica. E si potrebbe pensare allora a una pesantezza del verso che lo infeltrisce e lo rende greve, a gabbie metriche, che piegano il significato e lo snaturano.
Questo però non accade. Le poesie di Ximenes sono brevi e intense, ricche di immagini, scorrono una dietro l’altra come armonia d’acqua, dolce e liquida.
Ci sono parole che insistite ritornano, quasi il poeta abbia necessità di declinarle in ogni sfaccettatura: sera, vento brezza, mare, funzionali alla costruzione di paesaggi della memoria, oasi struggenti del ricordo.
Da sottolineare anche la presenza di rime, spesso baciate, di enjambement, di sinestesie e di metafore ardite, in una scrittura matura e meditata.
Le tematiche che percorrono trasversalmente i volumi finora editi costituiscono un unico filo teso a dipanare inquietudine e domande sull’esistenza: l’amore, gli affetti familiari, la solitudine, la memoria, la vita e la morte, e poi la vita di paese, il tempo, la riflessione sulla parola.
Il volto del presente, la prima silloge pubblicata da Giuseppe Ximenes, presenta temi eterogenei: la partenza di un soldato che saluta l’amata (Soldato, p.8), la quiete sonnolenta del paese, sfiorata appena da un alito di brezza (Un sonno quieto, p. 9), mentre si sopravvive a se stessi e i ricordi vanno ammuffendo come molliche (Molliche, p. 11).
Il poeta è colui che sa rintracciare nelle cose il dolore, ma fa poi di seta i propri versi, perché distilla con sapienza la sofferenza del mondo e ne fa musica (Conosce un solo modo chi è poeta, p. 23).
E poi la morte senza preavviso (Schianto, p.25) e l’attesa di essa (Fuori dalla vita, p. 42), come avviene nell’ultima fase della vita, in cui un vecchio guarda il mare, sapendo che non vi è null’altro da attendere (Un vecchio, p.30).
Le parole non dette ( Invito, p.26; Nubi, p.31) diventano più grevi e invadenti di quelle espresse:
Lasciammo cadere il discorso
ma a lungo rimase nell’aria
quell’ultima parola che ancora
reclama di essere detta.
(L’ultima parola, p.28)
E, disincantato e consapevole, lo sguardo sul degrado, in una fame d’amore che niente può saziare, perché niente in fondo può colmare il vuoto (Ritorno qui a vagare nel degrado, p. 48; Corriera, p. 49; Sesso a ore, lassù le vecchie scale, p.50).
In assoluto il tema dominante, il più denso di significati, è quello della madre:
Vado incontro a una sorte
foriera di rovine,
fra dense ombre contorte
già intravedo il confine:
di là c’è la tua morte
e di qua la mia fine.
(A mia madre, p. 45)
Tema che torna anche ne Alla madre inferma, p.37; Il volto del presente, p. 51; e forse anche in Dormiveglia, p. 54 e ne L’odore dei tuoi anni, p. 60.
Ne Il respiro del silenzio, la seconda prova del nostro poeta, preponderante è ancora la presenza della madre, manca il suo abbraccio, che saprebbe contenere e comprendere il dolore, fino a trasformarlo:
Non sarebbero nulla queste lacrime
se ancora, madre mia, ti avessi accanto,
come un tempo stringendomi al tuo petto
non staresti a cercare le parole:
ti basterebbe l’ombra di un sorriso
per farle diventare foglie secche.
(Come un tempo, p.14)
La casa ne respira l’assenza, nelle stanze aleggia uno sguardo, e più intensa e dolorosa si avverte la sua mancanza nel silenzio della sera:
…
mi aggiro per le stanze e su ogni cosa
sembra si avverta l’ombra del tuo sguardo
(da Nell’aria, p.17)
A questa fa da corollario Nel buio, p.18, in cui la notte di grida inudite accentua lo struggimento, ricorrente in Scorrendo lentamente, p.19, e inQuelle parole, p.21, in cui il silenzio è lutto esso stesso.
Altro tema è quello del tempo che scorre inesorabile, che è disincanto, terra di mezzo ostile e brulla, protesa verso un niente sostenuto dalle illusioni (Il tempo che mi resta, p.29).
La vita stessa può essere avvertita come un susseguirsi di giorni vuoti e uguali, dei quali estenua la lentezza, come se si fosse per sempre in attesa della vita vera:
Spesso è soltanto un lento susseguirsi
di giorni vuoti e uguali, esso ci estenua
e a tratti sembra quasi sopraffarci;
ogni volta subiamo il suo trascorrere
nell’attesa legittima di vivere.
(Attesa di vivere, p.26)
o raffigurata come un fiume in piena, in cui la corrente trascina via (Corrente, p.50).
A rendere intensa la tristezza intervengono le voci care che tornano dall’oblio, da remote lontananze, ma sono uguali al ricordo del mare dentro una conchiglia:
Accade che dal più profondo oblio
riemergano talvolta voci un tempo
pur care, le odi appena e le confondi.
È come quando ascolti una conchiglia:
senti remoti gli echi di onde morte.
(Voci, p.35)
Solitudine e silenzio si fanno presenze ingombranti che la notte rende più vivide, concreti compagni cui ci si è assuefatti (Stand-by, p.37).
Sempre presente poi la Musa ispiratrice, colei/coloro in grado di accendere versi, di trasformare pensieri vaghi in parole, l’amore in senso alto, la dea-poesia che si china a sfiorare il volto e innesca il processo creativo (Alla mia Musa, p. 49).
Così le parole sono dentro gli occhi dell’amata, e solo un suo sguardo può riaccendere la poesia (Nei tuoi occhi, p.55), oppure si trovano nel sorriso di lei, la sola capace di destare dal sonno le parole per trasformarle in canto (A un tuo sorriso, da Nel cuore di una rosa, p. 35) e sono parole, quelle poetiche, da lasciare in dono, in pegno per colmare l’assenza, che dimoreranno sulle labbra dell’amata come baci (Arrivederci, p. 57) anche dopo, quando le parole sostengono il ricordo perché gli occhi dei poeti è nel cuore che hanno le radici (Quando verrai, p.63).
Nel cuore di una rosa ci regala altre belle immagini sulla madre, attraverso gli oggetti che ne restituiscono la parvenza:
Sfioro gli oggetti, vago per la stanza,
qui l’ombra di mia madre ancora avanza
curva e lenta; si accosta alla finestra.
Fuori la vita odora di ginestra.
(da La camera dei sogni, p. 26)
e la sua assenza fa dei giorni foglie secche annerite (Senza te, p.60).
Troviamo spesso la contrapposizione luce/ombra e, nell’ultima silloge, Nel cuore di una rosa, un altro binomio interessante, cuore/parola (per il primo sostantivo 15 e per il secondo 18 occorrenze circa), perché il poeta indaga sulla parola senza perdere mai di vista il sentimento che la nutre e la evoca.
Si evocano anche qui le Muse, che visitano il poeta in sogno per donargli la poesia (Mi visitano in sogno, p.9) e sono ancor più presenti le stagioni, ma del cuore più che della natura.
Labbra di mille tenere parole, ultima silloge in ordine di tempo, ci ripropone la natura come sfondo ai sentimenti; i mutamenti stagionali accompagnano le riflessioni sui temi costantemente indagati dal nostro autore: il tempo, l’assenza, i ricordi, l’amore.
Riemergono la contrapposizione luce/ombra e alcuni inscindibili binomi: vento-foglie, luna-stelle, solitudine-silenzio.
Densa e dolente anche qui la presenza/assenza della madre, particolarmente intensa nella lirica che dà il titolo al libro, Labbra di mille tenere parole (p. 41)
S’inerpica tenace il gelsomino,
lambisce già il balcone, nel mattino
lievi oltre l’uscio danzano le tende
che la luce dell’autunno fende.
A un pio riflesso, diafana parvenza,
furtivo velo d’ombre in dissolvenza,
andare sembri ancor di stanza in stanza,
mia sola mai sopita rimembranza.
Malia di sguardi un tempo, odor di viole,
labbra di mille tenere parole.
Anche In passi lenti, p.29 ci presenta gli oggetti lasciati sul comò in un gesto d’amore che testimoniano la loro appartenenza, e sono le stanze stesse che trasudano ricordi (p. 13).
Ma su tutto emerge, come sempre, la parola, la parola come seme al nulla e al tutto (Sia seme la parola p. 3), e mentre il poeta si chiede se sia tempo di parole (Il sonno della luce, p. 28), ne ravvisa la necessità in un rapporto d’amore:
Fra noi
adesso c’è bisogno di parole
che accarezzino tenere il silenzio
(Parole, p. 14)
Le parole aleggiano, affiorano ovunque, che siano dolci (p.33) o vuote (p.30), rade parole scarne (p.27) o troppo tenere (p.9), o parole velate in controluce (p.15).
Il poeta diviene un fine cesellatore, un orafo che incastona le parole come pietre preziose, addolcendole di miele nelle notti di veglia, trasformando la miseria in luce:
Per te cesello versi senza fine,
incastono parole ad una ad una
con paziente perizia in lunghe notti
di veglia cospargendone di miele
ogni sillaba. Al palpito del cuore
per donar loro un’anima e la luce
attingo alle mie scorte di miseria.
(Al palpito del cuore p.16)
C’è una brezza, dunque, un vento, ed è vento di mare, che percorre tutta la produzione di Ximenes. È il vento insinuante dei ricordi, uno struggimento dolente, amaro a tratti.
La vera poesia è quella che lascia dentro ognuno di noi qualcosa di indefinito ma di profondo, perché mai la poesia può essere spiegata a fondo, e le emozioni non hanno alcun bisogno di essere tradotte.