JENNUVINENNU di Alfio Patti

luglio 23, 2009

JENNUVINENNU

(Poesie 2006-2008)

Alfio Patti

Prova d’Autore Edizioni

2009

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Sarebbe estremamente riduttivo ritenere la poesia di Alfio Patti solo il “canto della nostra terra”.

L’uso del dialetto non impedisce infatti al poeta di indagare, con voce limpida e non retorica, nell’attualità e nel quotidiano.

Si può modificare con le parole il caos del mondo? si può scrivere per cambiare il mondo?

O, al contrario, si scrive

“ppi mpagghiazzari u munnu

di carti schifiati

[di nchiostru]

Lo scrittore è dunque un vate che si esprime nell’indifferenza generale, oppure, più lucidamente di altri, ha sentore dell’inutilità della parola scritta?

E, nella stessa poesia (A pparrari semu tutti bbravi), si sottolinea la monotonia del quotidiano, l’avvilente ripetizione di gesti consueti

“havi ‘na vita

ca talìu i stissi stiddi”

nella consapevolezza che parlare è superfluo, perché tutto scorre a suo modo, e le parole finiscono per diventare inutili. Che voce può avere il  poeta in un mondo che si trascina in rituali sempre identici?

La parola può cambiare il mondo se nessuno si cura di essa, se

“nuddu talìa”

se poi le parole finiscono in fondo al mare

“sti paroli ‘n funnu ô mari”

come in Accura?

Così in Jennuvinennu, finite le illusioni, inavverate le promesse,

“Cci livàru u futuro…l’avviniri”

resta solo il disincanto.

Ricorre spesso, nelle note critiche a Patti, la connotazione di amarezza per descrivere la sua poesia; ritengo che l’amarezza lasci poco spazio alla speranza, rappresentata invece dai giovani, da coloro che rifiutano di abbrutirsi e reagiscono al disfacimento.

Un tema molto presente è infatti quello del deterioramento dei valori.

In Discoteca i giovani si stordiscono, “nsuggiati”, tentando di scacciare i rumori della giornata con altri rumori.

Cchi facemu? è un accorato appello contro

“i novi laparderi

ca ni volinu scippari

i sònnira”

e nessuno ha il diritto di far questo, di scippare i sogni, di calpestarli.

Così come si ribadisce in Nun facìti figghi:

“I carusi hannu a sunnari

ma s’allura ch’i l’accattamu a fari?”

Gli adolescenti confusi e smarriti, distratti dai non-valori (o disvalori che siano), dovrebbero invece essere protetti dal consumismo, dai riti collettivi della modernità.

Li ritroviamo altrove (E cantu) disincantati e poco disposti a credere alle favole:

“…carusi d’avannu

ca hannu l’occhi aperti

e non mangianu

cutulisci jittati d’ô çiumi”

unico spiraglio forse aperto sul futuro.

Particolarmente ricercata sul piano linguistico Marabecca, in cui lo sporgersi dentro la cisterna diventa l’affacciarsi sul mondo degli adulti, sull’orrido dal quale la fanciullezza è protetta.

E la cisterna diventa anche metafora dello scrutare se stessi, il fondo di noi, dove a volte si nasconde nel buio ciò che sconosciamo.

In Iù sugnu ‘n operaiu, l’onestà del duro lavoro si contrappone ai giochi del potere e della politica, in cui le solite facce

“strafuttinu l’umanità

e rridinu ‘ncoddu

a l’omini seri”

e l’uomo comune, al contrario,

cerca

di sarvari  nt’a cascia

dignità e rraggiuni”

L’umanità dolente è presente in Malasurtati, e di essa si fanno emblema i migranti, i malasurtàti, qui segnati da un destino senza speranza:

“unni mi mettu iù

u mari vota”

attratti dal modello occidentale di felicità, ma costretti a incontrare il nulla, perché la malasorte colpisce i più deboli.

Altrettanto dolente e amara in Calura (sull’esplosione dell’atomica) la rappresentazione della yubris, l’antica tracotanza dell’uomo che osa sfidare la natura con l’unico risultato di uccidere se stesso:

“si nni calau u munnu”

Anche gli elementi climatici si fanno presenze ingombranti; l’umidità delle notti catanesi in Finìu di stizziari:

“L’umidità accumpagna

a notti

e arrifrisca

sonni nfucati”

e ancora lo scirocco in Malifrùsculi:

“Fora,

u sciroccu

faceva scurcidda”

vento che si fa simbolo dell’inedia, dell’incapacità atavica di reagire alle cattive nuove, forse l’identico vento che

“…arruzzulìa

na lanna di buatta…

La stessa invincibile indolenza -o impotenza- dipinta in Quantu voti, perché non si parte mai, si resta inchiodati senza muoversi, come soldati che battono il passo. Infine

“ti scura nt’ì pedi”

e resta solo la rabbia contro se stessi.

Ma è la sconfitta a generare poi l’insensibilità? Si ricerca l’assenza di emozioni solo per paura di lasciarsi coinvolgere, si mettono distanze fra sé e gli altri per “spegnere il cuore”

“Havi  ca non chiànciu

ca macari m’û scurdai”

o ci si può solo pentire di averlo fatto:

“cchi piccatu

aviri travagghiatu tantu

p’astutari u cori”

E quasi a confermare quest’altalena di sensazioni, si rintraccia una sola apparente concessione all’eros in Mi dicisti:

“Squagghiài

nt’ô pani caudu,

comu cira ô suli”

Personalmente apprezzo in maniera particolare le riflessioni sulla scrittura, in cui la parola si fa protagonista, s’inventa e si rende attuale per riflettere su se stessa:

“quannu s’ammazza a parola

s’ammazza  u pinseri”

La consapevolezza e il disincanto non possono zittire il poeta, né possono togliere valore al suo canto (Libbirtà di paroli):

“…mpagghiazzu

na maniata di paroli

ci çiusciu

e i brizziu ô ventu”

Solo ventuno poesie, dunque, ma che racchiudono il mondo.


DUMA KEY

luglio 23, 2009

Sono alle prese con Mr. Freemantle, Edgar Freemantle, sopravvissuto a un incidente che lo ha menomato,  esaltatando però alcune capacità.

Tornano qui la preveggenza, lo shining di kinghiana tradizione, ma torna il “potere dei luoghi”, già presente altrove.

Può un semplice scorcio di mondo racchiudere in sé una forza tale da sconvolgere esistenze?

Duma Key può farlo, nel bene e nel male, tramite l’intensità creativa, che guarisce e uccide al contempo.

Edgar vive la sua “seconda vita” come a tutti piacerebbe fare dopo che un uragano è passato a salutarci; scava dentro di sé, elicitando inaspettate potenzialità, salvando se stesso e gli altri.

Intanto ecco a voi l’incipit e, quando approderò a pagina 740, vi saprò dire.

“Si comincia con uno spazio bianco. Non dev’essere necessariamente carta o tela, ma secondo me dev’essere bianco. Noi diciamo bianco perché abbiamo bisogno di una parola, ma la definizione giusta è <niente>. Il nero è l’assenza della memoria, il colore del non ricordo.”


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ELEMOSINARE

luglio 23, 2009

Elemosinando un abbraccio

almeno uno

comunque vado.

Nulla mi adorna le spalle.

Spine soltanto alle caviglie.

 

Un pianoforte, un  silenzio.

 

Interno lilla.

Rosso porpora ai divani.

Elemosinando un abbraccio

uno soltanto.

Adesso siedo e attendo.

Sempre attendo.

 

E comunque invano.

 

PAOLA DE BENEDICTIS


MEMORIE A PERDERE

luglio 2, 2009

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Dove intende portarci la prosa incalzante di Luigi Milani che, imponendoci un ruolo da voyeur, ci invita a spiare nelle vite dei suoi personaggi? Che cosa vuole farci scoprire sul conto di una umanità trafelata e sofferente, che rincorre chissà cosa senza prendere le dovute precauzioni contro l’imprevisto, contro i tranelli che la vita dissemina ogni giorno sul nostro cammino?

Da quando ha gettato il primo vagito, e talvolta senza saperlo, ognuno di noi sta andando a un appuntamento.

Nei dodici racconti di Luigi Milani appaiono personaggi, molto numerosi e delineati con tale cura da sembrare esseri viventi e non creature di carta, che si recano a un appuntamento, che incrociano un evento o un proprio simile, dal quale impareranno qualcosa di nuovo su se stessi.

Uno squarcio improvviso nelle abitudini di ogni giorno li getta in una dimensione che dà loro le vertigini, che suona inconsueta, a volte perfino minacciosa. E se è tragicamente estrema la situazione di Iussuf, sventurato iracheno finito nelle grinfie di militari americani che lo sottopongono a feroci torture (il racconto è Abu Ghraib), è invece tragicamente ordinaria la vita delle figure che dominano gli altri racconti.

 

Flavia, eroina di Discrezionalità, ha una carriera di cui può esser soddisfatta e rifulge orgogliosa nell’imprevisto confronto con Renata, l’amica che prometteva di diventar chissà chi e si è invece arenata in uno stanco matrimonio, ma le basta rubare un oggetto in un negozio per ritrovarsi in una situazione da incubo.

 

Nel tenerissimo Figlia, a Claudia è sufficiente irrompere dentro la casa paterna in una sera piovosa per misurare la propria fragilità, e le sconfitte che le fanno desiderare di tornare bambina, ed è un colpo da maestro la conclusiva immagine del padre che appare, trepidante e protettivo, sotto la pioggia.

 

Nella definizione di questi lavori è un dettaglio non secondario, parlando di uno scrittore di sesso maschile, la capacità di Luigi Milani di descrivere le donne. I suoi personaggi femminili agiscono come se non fossero concepiti da un uomo e vivono di vita propria perché sagacemente illuminati dall’interno. E la prevalente tragicità del tono d’insieme si stempera all’occorrenza in un’ironia non priva di crudeltà, come nel racconto Rilassati!, in cui sfolgora un altro bel personaggio di donna. È l’inafferrabile Carla, da cui il protagonista si fa menare per il naso (e qualcosa ci dice che il gioco di Carla potrebbe funzionare con ciascuno di noi), mentre cova la speranza di invischiarla in una relazione che forse non ci sarà mai.

 

Smarrimenti improvvisi, latenti inquietudini, un senso di vulnerabilità di fronte all’ignoto, e un paesaggio che, frastornante o silenzioso, si configura spesso come una scena estranea, sottilmente ostile, su cui gli eroi di Luigi Milani muovono i loro passi: ecco da che cosa nasce il palpito che ti prende a leggere questi tredici (e il numero non è causale) viaggi nell’assurdo, di questi tredici sismografi tesi a registrare sotto i nostri piedi i sommovimenti di cui abbiamo paura e che forse ci faranno inciampare di qui a poco.

 

( prefazione di Francesco Costa, copertina di Mariella Sudano)

 

Luigi Milani è nato a Roma, dove vive e lavora. Giornalista freelance e traduttore dall’inglese, scrive di musica e tecnologia da oltre un decennio. Ha pubblicato racconti e poesie per vari editori, oltre a vincere nel 2008 un concorso poetico. Collabora con PeaceReporter, PeaceLink, Osservatorio sui Balcani, Thriller Magazine, Onda Rock, Jazzitalia e la e-zine letteraria Progetto Babele. È tra i fondatori dell’Associazione Culturale XII.


‘A SCIUTA

luglio 1, 2009

 

SAN PAOLO, PALAZZOLO ACREIDE, 29 GIUGNO 2009

http://www.sanpaolopalazzolo.iblon.it/