Chi scrive probabilmente si interroga sulla funzione della poesia, o della propria poesia, in un tempo sempre più arido e insensibile.
È ancora tempo di poesia, il nostro? Perché i poeti?
Queste in particolare le domande che si pone Sebastiano Addamo.
Riporto le sue conclusioni.
“La voce della poesia è troppo flebile per vincere il frastuono che è intorno…
I molti libri di poesia che vengono pubblicati non fanno che accentuare questo silenzio: sono tanti e tanto indiscriminati che non c’è nemmeno il tempo di lanciare ad essi un solo sguardo, anche se distratto. Per la poesia non c’è pubblico. Al massimo -ma davvero al massimo- c’è appena qualche lettore. La domanda è minima, non c’è mercato e non ci sono editori.
Bisogna considerarlo: non è più in causa il valore che il libro eventualmente comunica; in causa è lo stesso libro come valore.
…
Fra questa vita e questa morte, si può accampare la poesia. La sua gratuità scrupolosa come un destino può diventare il valore “inutile” di un mondo nel quale tutto è merce e valore di scambio.
Essa non deve salvare né garantire nulla, non ha risposte da fornire, è appena una scommessa e un rischio. La sua funzione è di non avere alcuna funzione.
Può valere come la sentinella che vigila gli ultimi spalti di un territorio abbandonato. Ma se la terra è ormai un deserto, poiché priva di senso, resta, dice Heidegger, il canto che nomina la terra.”
Da Alternative di memoria di SEBASTIANO ADDAMO
Chi è d’accordo con queste affermazioni?