Prima che bruci Parigi

aprile 3, 2012

Paris Capitale

André Maurice Utrillo

(fonte:  http://www.arcadja.com/auctions/it/maurice_utrillo___maurois_andr%C3%A9/prezzi-opere/327766/

Prima che bruci Parigi

 

Finché ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finché ancora tempo, mio amore
finché il mio cuore è sul suo ramo
vorrei una notte di maggio
una di queste notti
sul lungosenna Voltaire
baciarti sulla bocca
e andando poi a Notre-Dame
contempleremmo il suo rosone
e a un tratto serrandoti a me
di gioia paura stupore
piangeresti silenziosamente
e le stelle piangerebbero
mischiate alla pioggia fine.

 


Finché ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finché ancora tempo, mio amore
finché il mio cuore è sul suo ramo
in questa notte di maggio sul lungosenna
sotto i salici, mia rosa, con te
sotto i salici piangenti molli di pioggia
ti direi due parole le più ripetute a Parigi
le più ripetute, le più sincere
scoppierei di felicità
fischietterei una canzone
e crederemmo negli uomini.


In alto, le case di pietra
senza incavi né gobbe
appiccicate
coi loro muri al chiar di luna
e le loro finestre diritte che dormono in piedi
e sulla riva di fronte il Louvre
illuminato dai proiettori
illuminato da noi due
il nostro splendido palazzo
di cristallo.


Finché ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finché ancora tempo, mio amore
finché il mio cuore è sul suo ramo
in questa notte di maggio, lungo la Senna, nei depositi
ci siederemmo sui barili rossi
di fronte al fiume scuro nella notte
per salutare la chiatta dalla cabina gialla che passa
– verso il Belgio o verso l’Olanda? –
davanti alla cabina una donna
con un grembiule bianco
sorride dolcemente.


Finché ancora tempo, mio amore
e prima che bruci Parigi
finché ancora tempo, mio amore.

 

(Nazim Hikmet)


Io la ricordo così…

febbraio 4, 2012

In fondo si tratta solo di un… ALTROVE

La stazione

Il mio arrivo nella città di N.
è avvenuto puntualmente.

Eri stato avvertito
con una lettera non spedita.

Hai fatto in tempo a non venire
all’ora prevista.

Il treno è arrivato sul terzo binario.
E’ scesa molta gente.

L’assenza della mia persona
si avviava verso l’uscita tra la folla.

Alcune donne mi hanno sostituito
frettolosamente
in quella fretta.

A una è corso incontro
qualcuno che non conoscevo,
ma lei lo ha riconosciuto
immediatamente.

Si sono scambiati
un bacio non nostro,
intanto si è perduta
una valigia non mia.

La stazione della città di N.
ha superato bene la prova
di esistenza oggettiva.

L’insieme restava al suo posto.
I particolari si muovevano
sui binari designati.

E’ avvenuto perfino
l’incontro fissato.

Fuori dalla portata
della nostra presenza.

Nel paradiso perduto 
della probabilità.

Altrove.
Altrove.
Come risuonano queste piccole parole.

WISLAWA SZYMBORSKA


Una poesia di Biagio Antonacci

giugno 15, 2011

 

Ti scrivo e ti penso da questo piccolo punto di verde

Acceso solo da un principio timido di primavera

Ho parole che arrivano nitide come nitida e chiara è l’acqua che mi piove

Così aspettando il tempo mi misuro

Ti scrivo e sono fiore di campagna

Riposo e niente più muovo…


Teoria del pirata

Maggio 6, 2011

Teoria del pirata

Vaga era sul solco della sera

E io dovevo capire / di che delirio ero fatto, e se in quel sogno / ci fosse stata una nicchia per l’amore.
(Franz Krauspenhaar, da Franzwolf)
Vaga era
sul solco della sera
la mia anima fiacca
per il peso del viaggio.
Fino all’orlo dell’inizio
il ritorno fu lentissimo
e poi d’un tratto
 il lampo
Ero io, non ero io?
La Parola conquistò
tutto lo spazio dentro
e catapultatasi
fuori
si gettò alla conquista degli astri.
Ora i miei sospiri
vivono così
                                      fuggiaschi
                                                               di bolina
                                         li catturo
e m’aiutano a solcare
questo mare d’oblio.
E mai una volta
che mi sia venuto in mente
d’essere io a tracciare la rotta,
dominare l’orizzonte,
la meta.
RICCARDO RAIMONDO
Per l’originale vedi
http://www.tornogiovedi.it/2011/04/teoria-del-pirata/

NUVOLA – D’après n. 2

gennaio 1, 2011

NUVOLA

Da mari e fiumi porto fresche piogge
per i fiori assetati; e alle foglie
porto un’ombra leggera quando stanno
a riposare nei sogni meridiani
Dalle mie ali stillano rugiade
che svegliano uno ad uno i dolci bocci
quando sono cullati sul seno della madre
che danza attorno al sole. Uso il flagello
della sferzante grandine, e imbianco le verdi
pianure sottostanti,
e poi di nuovo la dissolvo in pioggia,
e mentre passo rintronando rido

Setaccio le nevi sui monti
e i grandi pini gemono spauriti,
tutta la notte è questo il mio cuscino bianco
mentre dormo abbracciata con i turbini.
Sublime sulle torri delle mie
dimore celestiali siede il lampo
che mi fa da pilota; e in una grotta
è incatenato il tuono, che lotta strenuamente
e si dibatte in gemiti terribili;
con lieve moto sulla terra e il mare
il pilota mi guida, e lo sospinge
l’amore di quei geni che si muovono
nelle profondità del mare violetto;
sui torrenti e le rocce, sui colli,
sui laghi e le pianure, ovunque sogni,
sotto montagne o fiumi lo Spirito che lui
ama rimane; ed io per tutto il tempo mi riscaldo
all’azzurro sorriso dei Cieli
mentre lui si dissolve nella pioggia.

L’Aurora colore di sangue, con occhi di meteora
con le sue piume ardenti dispiegate,
balza sopra il mio nembo veleggiante
quando la stella del mattino splende
quasi svanita; in questo modo, al culmine
di una vetta montana che si scuote e oscilla
a un terremoto, un’aquila discende
e si posa alla luce delle sue ali d’oro
E quando il sole alita al tramonto
dal mare illuminato i suoi ardori
di riposo e d’amore, ed il mantello cremisi
della sera ricade dal profondo abisso
dei Cieli, io mi soffermo con le ali chiuse
sopra il nido aereo, serena
come colomba intenta alla covata.

Quella fanciulla sferica ricolma
di fuoco bianco che i mortali chiamano
Luna scivola splendida sul mio
corpo simile a un velo che sia stato steso
a mezzanotte dai venti; e ovunque il passo
di quei piedi invisibili che gli angeli soltanto
possono udire, alla mia tenda abbia sfondato il fragile
traliccio che la copre, dietro di lei occhieggiano
e spiano le stelle. Io nel vederle rido
quando fuggono in turbini e assomigliano
a uno sciame di api dorate, e allora allargo
lo strappo nella tenda che mi eresse il vento
finché i fiumi sereni e i laghi e i mari
come lembi di cielo quaggiù precipitati
sopra di me dall’alto
di luna e stelle siano lastricati.

Cingo il trono del Sole con una fascia ardente
e quello della luna con un cinto di perle;
ogni vulcano è spento, le stelle vacillano e ondeggiano
quando il turbine spiega il mio stendardo.
Da un promontorio all’altro, con la forma
dell’arcata di un ponte su un mare torrentizio
che resiste a ogni raggio di sole,
resto appesa in alto come un tetto –
e le colonne sono le montagne.
L’arco trionfale che oltrepasso in marcia
con l’uragano e il fuoco e con la neve
e le Potenze dell’aria incatenate al carro
non è che l’arcobaleno dai mille colori;
su cui la sfera di fuoco intrecciava le tinte
lievi e la fresca terra sorrideva in basso.

Sono la figlia dell’Acqua e della Terra,
sono l’allieva del Cielo;
passo attraverso i pori del mare e delle spiagge;
mi trasformo, ma mai potrò morire.
Perché dopo la pioggia,
quando la volta del Cielo è immacolata e nitida
e i venti e il sole coi convessi raggi
levano azzurra la cupola dell’aria,
io silenziosamente rido a quel mio cenotafio,
e come un neonato dal grembo,
come uno spettro dalla tomba sorgo
dalle caverne della pioggia e lo distruggo ancora.

PERCY BYSSHE SHELLEY

 

Il mio d’après

 

I sogni delle foglie

a mezzogiorno

d’ombra verde

ristoro

e sono fresca rugiada

per la sete dei fiori.

Le mie risate

di grandine

stupiscono i prati

e lenta trascorro

su di loro.

Cullata dal turbine

faccio bianchi

i pini sorpresi

dalla notte.

Mi lascio guidare

dal fulmine gentile

dall’urlo convulso

del tuono.

Nel blusorriso

del cielo

mi dissolvo in pioggia

e sono amore

perenne mutamento

senza morte.

La terra umida

ride

sotto cupole d’aria.

Cremisi il mantello

della sera.

 

Laboratorio di scrittura a cura di Luigi La Rosa


MONTEVIDEO – D’après n.1

gennaio 1, 2011

MONTEVIDEO

Scivolo per la tua sera come la stanchezza per la pietà di un declivio.
La notte nuova è come un’ala sopra i tuoi terrazzi.
Sei la Buenos Aires che avemmo, quella che negli anni si allontanò, quietamente.
Sei nostra e festosa, come la stella che le acque raddoppiano.
Porta finta nel tempo, le tue strade guardano il passato più lieve.
Chiarore da dove ci arriva il mattino, sopra le dolci acque torbide.
Prima di illuminare la mia persiana, il tuo basso sole rende felici le tue ville.
Città che si ascolta come un verso.
Strade con luce di patio.

JORGE LUIS BORGES

 

Foto tratta da: http://www.metaforum.it/archivio/2006/indexe6f1.html?t6022.html

 

Il mio d’après


Città che si ascolta

come un verso

solebasso

Scivola

l’ala della notte

doppiastella

del tempo finta porta

sul mattino.

 

 

Laboratorio di scrittura a cura di Luigi La Rosa


VOCE

dicembre 23, 2010

 

Voce

Natale è un flauto d’alba, un fervore di radici
che in nome tuo sprigionano acuti ultrasuono.
Anche le stelle ascoltano, gli azzurrognoli soli
in eterno ubriachi di pura solitudine.
Perché questo Tu sei, piccolo Dio che nasci
e muori e poi rinasci sul cielo delle foglie:
una voce che smuove e turba anche il cristallo,
il mare, il sasso, il nulla inconsapevole.
Maria Luisa Spaziani


L’Orfeo capovolto

novembre 28, 2010

 

Colpita da una sorta di… consonanza, ospito qui un Orfeo capovolto, quello di Cristina Bove.

 

ORFEO

Non si può percepire la metà del tempo e nemmeno la metà del buio.

Entrambi sono interi e si sperimentano solo inoltrandosi in essi, facendosene avvolgere.

Chiamavo i minuti prigionieri e ultimi, solo così potevo immergermi tra i cerchi di fuliggine e le stelle.

Non lo sapevano i dèmoni né gli angeli, potevano sospettarlo le mènadi, ma non avrebbero parlato, mai.

I luoghi oscuri sono quelli dove le parole sono scritte sul nero e si leggono a stento, e si racconta di umori e umori in simmetrie carnevalesche.

La realtà, il vivere reale, è gesto e abbraccio, occhi nel giorno.

Non un solo momento ero distante, il mio pensiero ritornava a te, anche se non mi era chiara la motivazione.

Fu il rispetto a fermarmi. Io che non ho rispetto di me stesso. Che altrove nuoto, mitridizzato in lunghe notti liquide, toccato amaramente alle consegne e cambi di staffetta. In contorsioni che tu non puoi nemmeno immaginare. Bisogna che riascolti i miei silenzi, le mie muraglie assorte, la mia cetra.

Lo farai.

Ma non avrai il sospetto della verità nuda, tu non sapresti reggerla, ed è per questo che mi sono fermato.Tra quelli che invano cercheresti di capire, nei transiti in corridoi ipogei: normalità acquisite, per me. Per te l’inconcepibile.

Ti ho respinta con l’inganno di chi non può che andare, essendo questo l’unico gesto somigliante all’amore.

Non potrai seguirmi nei luoghi dove l’anima si arrende e chiama stelle i bulbi delle calle.

E non mi volterò.

Ti condurrò lontano da questo mondo di traffici e menzogne che ci convoglia sempre più veloce nei depositi foschi della mente. Mi dimenticherai per altre mille eternità, in terre parallele e capovolte, in dimensioni sconosciute.

Non sarai tu a morire, mia Euridice, ma io, che non mi sono più voltato, che ho preferito farti strada e, senza guardarti, sono fuggito all’apparire delle prime luci, affidandoti all’alba.

Io non proseguo, resterò nell’ombra.

E tu mi perdi qui, sola nel sole.

Chissà, forse tra tempi incalcolabili, sarai tu che mi verrai a cercare.

 

 

 

“Il mio Orfeo resta nell’erebo, perché riconosce di non essere ancora degno della luce.
Non si è girato come nel mito, ma ha scortato la sua Euridice affinché fosse libera. Ha scelto di restare lui, nell’ombra.”

CRISTINA BOVE

 

 

Jean-Baptiste-Camille Corot

 

 

E infine anche il mio Orfeo capovolto, frammisto a Lot, che diventa una statua di sale per essersi, al contrario, voltata indietro.

 

ORFEO

 

Non sei Orfeo

non ti volti a guardare

non cerchi

la perduta Euridice

non hai cellule vive

nel cuore

già di sale

e non si torna

dai sentieri dell’Ade.

 


Ancora sull’autunno

novembre 15, 2010

 

 

AUTUNNO

 

Autunno. Già lo sentimmo venire

nel vento d’agosto,

nelle pioggie di settembre

torrenziali e piangenti

e un brivido percorse la terra

che ora, nuda e triste,

accoglie un sole smarrito.

Ora che passa e declina,

in quest’autunno che incede

con lentezza indicibile,

il miglior tempo della nostra vita

e lungamente ci dice addio.

 

VINCENZO CARDARELLI

 

 

VEDER CADERE LE FOGLIE

 

Veder cadere le foglie mi lacera dentro

soprattutto le foglie dei viali

Soprattutto se sono ippocastani

soprattutto se passano dei bimbi

soprattutto se il cielo è sereno

soprattutto se ho avuto, quel giorno,

una buona notizia

soprattutto se il cuore, quel giorno,

non mi fa male

soprattutto se credo, quel giorno,

che quella che amo mi ami

soprattutto se quel giorno

mi sento d’accordo

con gli uomini e con me stesso.

Veder cadere le foglie mi lacera dentro

soprattutto le foglie dei viali

dei viali d’ippocastani.

 

NAZIM HIKMET

 


 


Autunnale

novembre 2, 2010

 

III. NATURE.

XXVIII.

AUTUMN.

The morns are meeker than they were,
The nuts are getting brown;
The berry’s cheek is plumper,
The rose is out of town.

The maple wears a gayer scarf,
The field a scarlet gown.
Lest I should be old-fashioned,
I’ll put a trinket on.

 

 

Sono più miti le mattine

più scure le noci

le bacche hanno guance più rotonde

la rosa è fuori città.

L’acero indossa un’allegra sciarpa

il campo una gonna scarlatta.

Per non restare fuori moda

indosserò un gioiello.

EMILY DICKINSON

 

 

AUTUNNALE

 

I suoi occhi

ridono

la madre

legge poesie

il giorno si consuma

distratto

il senso della fine

accartoccia

le foglie.