PER LE FOTO:
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BUTERA
29 maggio 2010
Fu questo un poeta – colui che distilla
un senso sorprendente da ordinari
significati, essenze così immense
da specie familiari
morte alla nostra porta
che stupore ci assale
perché non fummo noi
a fermarle per primi.
Rivelatore d’immagini,
è lui, il poeta,
a condannarci per contrasto
ad una illimitata povertà.
Della sua parte ignaro,
tanto che il furto non lo turberebbe,
è per se stesso un tesoro
inviolabile al tempo.
EMILY DICKINSON
Sono Penelope, e da bambina
guardavo le barche svolgersi
nel mare e dispiegarsi
all’assorta larghezza
dell’onda, e in quel movimento
mi perdevo, finché non lo sentivo
riecheggiarmi nelle braccia
il diradato volo, e assoluto, degli
stormi tempestosi. Fu lì
che conobbi per la prima
volta l’assenza, un’assenza
così atroce che nascere non può
se non dal fondo di se stessi
– la linea dell’onda era ferma,
e io mi contenevo nelle braccia,
attendendo un suono.
Donna, ti guardai andare
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con lo stesso riserbo, lo stesso
cuore di ferro, contenuta nella
fermezza di Itaca che resta. Non
potevo pensare all’inespresso
dei nostri corpi ch’era rimasto
non respirato, benedetto
dal respiro. Ritornai sulla
croce delle braccia, allungandomi
nel fiato innalzato degli alberi
che nella madida limpidezza
del loro balsamo segreto
dicessero per me, sulle tue
braccia, il solo amore.
In quegli anni divenni
uomo e donna per
sopravvivere, ché Itaca
si reggeva su di me,
sulle mie ossa – e quando
primavera giungeva
in fine, ed estenuato,
e rugiadoso arpeggio
tra i petali, l’insostenibile
delicatezza di quella nota
tornava con la vita
a smuovere
la mia fragile apnea – a ogni
nervatura
mi pronunciava.
ROBERTA LENTÀ
Mine vaganti è un film di Ferzan Ozpetek del 2010, con Riccardo Scamarcio, Nicole Grimaudo, Alessandro Preziosi, Ennio Fantastichini, Lunetta Savino, Elena Sofia Ricci, Ilaria Occhini, Bianca Nappi, Massimiliano Gallo, Carolina Crescentini. Prodotto in Italia. Durata: 110 minuti. Distribuito in Italia da 01 Distribution a partire dal 12.03.2010.
Gli amori impossibili non finiscono mai…
“Non farti mai dire dagli altri chi devi amare, e chi devi odiare. Sbaglia per conto tuo, sempre.”
Diversità e normalità, emarginazione e integrazione, si rincorrono, con leggerezza, ma in ampi territori di riflessione, nell’ultimo film di Ferzan Ozpetek.
La figura più naturale è quella della sorella che alla rivelazione ulteriore reagisce con un:
-Ci ho pensato, sai? io non sono gay!
Lo sguardo di Alba, Nicole Grimaudo, è lungo e dolente. Consapevole dell’impossibile, che ha voce e occhi che mai le apparterranno, è quello di tutti gli innamorati non corrisposti: “gli amori impossibili non finiscono mai” si sentenzia a un certo punto…. e chi può smentirlo?
Un figlio gay, o un figlio prete, in partenza per le Missioni, o un figlio drogato, o un figlio omicida, o un figlio con un cancro ( elenco senza fine…): cosa spaventa di più un genitore? L’idea della diversità (da sé, dal mondo) o l’idea che un figlio possa soffrire?
Mi chiedo quale sia la maggiore paura, se inglobare una innegabile parte di sé come diversa da sé o temere che proprio quella parte di se stessi, la migliore si presume, non sia più riconoscibile.
Mi veniva in mente guardando le immagini – io unica spettatrice, un intero cinema per me- il padre di Brancati che si confronta con l’impotenza del figlio, anche lì un’onta insanabile, a cui si sacrifica persino la propria vita…. rimediare, nascondere soffocare. Eccolo il padre ( un bravissimo Ennio Fantastichini) che ostenta la sua risata nel bar della piazza e soffriamo con lui perché sappiamo che quella stessa risata a breve si tramuterà in un imbarazzante pianto.
Si sente che il padre schiaffeggerebbe il figlio, per fargli passare la “malattia”; eppure vorremmo noi schiaffeggiare quel padre che non capisce, farlo rinsavire, fargli aprire le braccia per accogliere il figlio, che è e resta per sempre suo figlio.
Perché essere genitori è per sempre, per tutta l’intera esistenza, senza vacanze o sottrazioni di responsabilità.
Persino la madre, che vorremmo supporre complice, con un filo di speranza chiede: ma si può guarire da questa cosa?
Guarire dall’omosessualità? Ah! Ma guarire dai pregiudizi? Sì, questo si può!
The Hours è un film del 2002 diretto da Stephen Daldry, basato sul romanzo di Michael Cunningham vincitore del premio Pulitzer Le ore.
“ La signora Dalloway disse che i fiori li avrebbe comperati lei.”
Un libro, tre donne, in un film tessuto sull’inquietudine del genio, che non si accontenta, non si adegua, cammina sempre sul limite, su un argine fragile che nessuno vede…
Non so il perché, ma mi è stato inevitabile accostare Virginia Wolf e Sylvia Plath, due scrittrici che amo, vittime di un mondo arido.
FOGLIA DI FIUME
C’è sempre un libro da finire
tazze di latte da scaldare
una torta sontuosa da infornare
che tutto almeno sia perfetto
quando abbandonerai la scena
le tasche piene di sassi
preziosa donna già dimenticata
e mai abbastanza amata.
Non puoi scivolare con dolcezza
foglia di fiume onda delicata…
A Virginia, a Sylvia, alle altre.
LIMITE
La donna ora è perfetta.
Il suo corpo
morto ha il sorriso della compiutezza,
l’illusione di una necessità greca
fluisce nei volumi della sua toga,
i suoi piedi
nudi sembrano dire:
Siamo arrivati fin qui, è finita.
I bambini morti si sono acciambellati,
ciascuno, bianco serpente,
presso la sua piccola brocca di latte, ora vuota.
Lei li ha raccolti
di nuovo nel suo corpo come i petali
di una rosa si chiudono quando il giardino
s’irrigidisce e sanguinano i profumi
dalle dolci gole profonde del fiore notturno.
La luna, spettatrice nel suo cappuccio d’osso,
non ha motivo di essere triste.
È abituata a queste cose.
I suoi neri crepitano e tirano.
(5 febbraio 1963)
SYLVIA PLATH
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Di acqua e di respiro
di passi sparsi
di bocconi di vento
di lentezza
di incerto movimento
di precise parole si vive
di grande teatro
di oscure canzoni
di pronte guittezze si va avanti
di come fare
di come dire
di come fare a capire
di alti
di bassi
battiti del cuore
fasi della luna
e ritmi della terra
di intelligenza
di intermittenza
si vive di danze
di ballo sociale
di una promessa
di un faccia differente
di mediocri incontri
di bellezze
di profumi ardenti
di accidenti
rotolando si gira, si balla
si vive, si fa festa
quella, questa
si picchia forte col piede
nella danza
e si sbaglia il passo
si vive di fortune raccontate
e di viaggiare
e si cammina stanchi
e di lavoro
e opposizione
e corruzione
si vive di lenta costruzione
e di tempo che ci inchioda
e di diavoli al culo
di fianchi smorti
di fuochi desiderati
si vive di pane
di speranza di bere
un vino buono per l’estate
rotolando si vive
di discorsi leggeri
cori
di maschere notturne
canto e discanto
e giù divieti
e oli sulla pelle
e sorrisi di fantasmi
e fantasmi fotografati
e giù campane annuncianti
si vive di sguardi fermi
di risposte folgoranti
di lettere partite
che aspettiamo in cima al mistero
di essere così soli.
Di questo si vive
e di tant’altro ancora
che inseguiamo come i cani
respirando dal naso
per finire invece
ancora sorridenti, ancora abbaianti
di un dolore a caso.
IVANO FOSSATI
Ciò che ho scritto di noi è tutta una bugia
è la mia nostalgia
cresciuta sul ramo inaccessibile
è la mia sete
tirata su dal pozzo dei miei sogni
è il disegno
tracciato su un raggio di sole
ciò che ho scritto di noi è tutta verità
è la tua grazia
cesta colma di frutti rovesciata sull’erba
è la tua assenza
quando divento l’ultima luce all’ultimo angolo della via
è la mia gelosia
quando corro di notte fra i treni con gli occhi bendati
è la mia felicità
fiume soleggiato che irrompe sulle dighe
ciò che ho scritto di noi è tutta una bugia
ciò che ho scritto di noi è tutta verità.
NAZIM HIKMET