A Palagonia presentati
“Azzurro Gusto” (Mariella Sudano)
e “Segrete Stanze” (Gabriella Rossitto)
Domenica a Palagonia presentazione di “Azzurro Gusto”, di Mariella Sudano e “Segrete Stanze”, di Gabriella Rossitto, per le Edizioni Akkuaria.
Giovanna Vindigni e Pippo Di Noto hanno recensito le due opere, che presentiamo ai lettori di Ondaiblea.
s. m.
Azzurro gusto (Mariella Sudano)
Apparentemente giocoliera, sperimentale, figurativa; ad una più attenta lettura ci accorgiamo come s’insinua, profonda, nelle radici del cuore.
La dichiarazione d’intenti è già nel titolo della raccolta; una forma metrico/stilistica: la sinestesia, abito di chi rappresenta le contraddizioni esistenziali.
E pregna di sinestesie, coerentemente, non è solo la poesia che dà il titolo alla silloge, ma l’intera raccolta, sino alla fine.
Poesia che si arricchisce di comunicazione non verbale.
Non solo parole, ma spazi vuoti, pause, enjambement, uso del diverso font, a rafforzare l’effetto del suo dire. Contornato d’arabeschi, anch’essi metafora di danza e d’aria.
Miscela
variopinta
palpabile
disegna arabeschi
d’aria da bere.
È nel volo
che voglio abbracciarti.
Sporcati la bocca
del colore della gioia.
Sporcati!
Ti appartiene
Parole e forme in libertà si inseguono in tutto il libro, linee sinuose ed eleganti sottolineano l’“Azzurro gusto” dell’autrice e così… semplici disegni astratti celano e rivelano, al tempo stesso: ali di farfalle, calze traforate, riccioli di bimbi, code di sirene, frecce di Cupido, pesci tropicali… il tutto inserito nel cerchio della vita, catturati dal vortice del tempo, per diventare sogni attaccati al filo di un palloncino che vola alto nel cielo. Ogni disegno è poesia e trova compimento in essa; suoni e immagini sono due facce della stessa medaglia. Le due arti si completano a vicenda, sviluppandosi senza fine, senza soluzione di continuità. Versi ricchi di passione e di tensione, avviluppati con tenacia alla vita, per affermare ad ogni costo il valore e la dignità della persona umana, si snodano sull’infinito filo della fantasia.
“Bere e ubriacarsi di vita”, il suo reiterato Carpe Diem. L’invito a bere il cielo, a godere l’oggi.
La sintesi estrema dei versi come messaggio che punta dritto al cuore; atomi d’emozione che penetrano dentro il lettore, talvolta stravolgendolo.
Parole come pietre oppure come lame taglienti che le scolpiscono, le pietre.
E non è poeta chi non si sporca nella tempesta dei versi, chi non scivola, inafferrabile, nel mare della poesia.
E la sua mente, anch’essa inondata da fotogrammi, vive l’estasi del sogno, all’insaputa dello specchio, ignaro.
Si vive solo in cima, lungi dalla piana, questo sogno, cui Mariella Sudano è saldamente ancorata. Sogno che l’autrice cita anche alla fine della silloge, in “Lettera a me stessa”.
E le fa eco la sua amica Gabriella, e Vera Ambra e, non ultima, la poetessa maltese Audrey Higgans, in un suo haiku felice, che recita:
“è meglio credere nell’impossibile, che non sognare mai”.
E quasi haiku sono le poesie dell’autrice, che stigmatizza brillantemente nei versi seguenti la impossibilità di scandagliare nel profondo, che sfocia nella manifestazione della sola punta dell’iceberg.
Fotografia.
Una stilla ciò che vedi
E di pesci di conchiglie di coralli
Un oceano non tocchi
Sogna, Mariella sogna, per dirla con Roberto Vecchioni, che se ne intende, avendo conosciuto poeti che “col pensiero, spostano i fiumi”.
Pippo Di Noto e Giovanna Vindigni
***
Segrete stanze (Gabriella Rossitto)
Introspettiva, intimistica, si mette in gioco, aprendo le stanze della casa/cuore.
Cuore che, come una soffitta, cela ricordi di cose, affetti di persone.
Senza economia di costi o di spazi; per accogliere nel miglior modo possibile (nessuna sobrietà/per farli rimanere più a lungo nel cuore: “segrete stanze del cuore”). Per vincere ataviche solitudini.
Per cullarsi in un abbraccio, come nell’induzione poetica della ninfèa di “Monèt” (cullata nell’abbraccio rosa… farsi accarezzare da un salice piangente).
Magari, quell’abbraccio materno che le manca, che ci manca, da tempo;
(abbracciami nella mente come non ricordo/avviluppami in un bozzolo di sogno: “Tigre”) anche se ci si prende cura dei fiori, come i gigli impertinenti, degli orti, di chi parte all’improvviso, senza salutare, senza indizio alcuno dell’epilogo (ci fosse almeno un indice, un indizio/per prepararsi al gran finale: “Indice”). Se epifania c’è, dura un attimo solo; sempre che il tempo abbia ancora senso; se capire se abbia senso o un senso non ce l’ha, per dirla con Vasco.
Dopo tanti anni, dopo vari lustri, finalmente va bene. “Tutto bene” (finalmente è contenta di me). Forse perché ci si accontenta.
Ma non è una fine annunciata; perché il miracolo della vita si rinnova.
E un nuovo cuoricino batte, assente presenza, nel grembo che l’accoglie.
Un altro cuore, capace di sognare, di cambiare, ancora, il mondo.
Anche se a noi, esuli vaganti non ci è data la grazia di poter entrare con loro nella terra promessa, dopo averlo percorso (e poi/lo cambierà/quel mondo che non vedrò: Futuro).
Saranno occhi nuovi e nuove gambe a farlo per noi, come recita “La donna che sarai” – e questo, confessiamocelo pure – ci rode parecchio.
A noi poeti, che, di tanto in tanto, ci consola la trasgressione, il bisogno di uscire dalla terrestrità, e invochiamo il vento, che possa aiutarci a librarci, a salvarci, sognando di uscire dai nostri corpi, lasciati ad arte in bella copia ad affrontare la routine, per poter solcare oceani e vivere al limite del varco (infiliamoci furtivi in quella piega del tempo/in cui saremo finalmente vivi: “Ultracorpi”.
Novelli Ulisse, tracciamo nuove rotte verso l’ignoto, fino all’approdo (da “Il forziere”); senza che gli altri comprendano la nostra natura di sangue, di sogno.
La sua natura di donna, che anela, nuovamente, alle ali (riattaccatemi le ali/per favore: “Le mie ali”).
Per non farsi sorprendere dallo “Tsunami”, mentre è intenta a peccare di poco amore.
Linee morbide, schizzi di getto, disegnano figure leggiadre di donne perfette nella loro statuaria bellezza, donne che simboleggiano la primavera della vita e dell’ amore in un anelito verso la perfezione, che diventa anticipazione della bellezza divina ed eterna, intercalano le pagine del libro. Quelle linee che sembrano uscite per caso disegnano non solo “donne divine”, ma donne attaccate alla terra, alla natura, che non abbandonano il loro mestiere di donna nel vivere quotidiano, legate anche a carta, penna e calamaio… e la stanza dello studio diventa roccaforte inespugnabile, dove la scrivania è il regno della fantasia, e per dirla con Gabriella “…dove il cielo è terso e non viaggiano nuvole…” e la cultura diventa il campo dove investire i propri talenti di donna e di artista.
Cosicché, Gabriella, pittrice, poetessa, ma soprattutto donna, regina della casa, ci apri le porte di ciascuna stanza e ci mostri anche quelle remote, segrete, come la soffitta; come il ripostiglio e la cantina.
Oltre alle altre, solitamente visitabili; soggiorno, cucina, studio e camera da letto.
Grazie dell’accoglienza!
Pippo Di Noto, Giovanna Vindigni
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